Ce lo avevano detto: andate a Fulanga! (si scrive Fulaga)
Avevamo letto qualche diario di bordo, avevamo visto delle fotografie, ci eravamo convinti che Fulaga sarebbe dovuta rientrare nel nostro itinerario, ma in effetti non eravamo certi di riuscire. Raggiungere Fulaga è scomodo, con i venti contrari è praticamente impossibile arrivare. Bisogna aspettare, come sempre quando si viaggia per mare, la giusta finestra meteo.
Fulaga: dove si trova?
Fulaga è l’ultima isola a Sud delle Lau Group, a Est delle Fiji. Si dice che nelle giornate chiare si riescano a scorgere le vicine Tonga.
Arrivare a Fulaga è stato… difficile. Sono 200 miglia nautiche controvento dalla capitale Suva e circa 100 miglia da Vanua Balavu, Lau del nord. Non ci sono collegamenti aerei. La nave cargo arriva una volta al mese e in caso di mare grosso la nave non parte. Fino a qualche anno fa le barche non erano autorizzate a fermarsi nelle Lau, oggi bisogna fare specifica richiesta per inserirle nel permesso di navigazione. Questo isolamento le ha garantito una autenticità da difendere e di cui essere fieri.
Fulaga: la perla del Pacifico
Fulaga è un’esperienza
È sabato pomeriggio e siamo in viaggio da ieri. Doveva essere una navigazione tranquilla con poco vento e invece … abbiamo almeno 25 nodi sul muso. Almeno io mi sento stremata. Nonostante la nuova cura per il mal di mare (sono sempre alla ricerca della cura perfetta) il mio organismo accusa il continuo sballottamento. 100 miglia no stop e non vedo l’ora di arrivare. 🙂
Quando mi sento chiamare perché vicini alla Pass mi rianimo.
Con il termine Pass si intende l’ingresso in un atollo, quindi un corridoio libero da coralli che permette il passaggio dal mare aperto alla laguna.
Mi trascino al tavolo da carteggio dove c’è il PC per verificare che la rotta sia corretta e per timonare, da dentro la barca, fino all’interno della laguna. Il capitano è fuori al timone pronto a intervenire se qualcosa non dovesse andare. In effetti la Pass è stretta e piuttosto lunga, con corrente uscente, facciamo fatica ad avanzare. Ma una volta passati, le onde si appianano, l’orizzonte si allarga nuovamente e io finalmente esco alla luce del giorno.
Il Paradiso.
Fulaga è bellezza
La bellezza della laguna ci rende muti.
Eppure ne abbiamo visti di posti belli in Polinesia Francese!
Qua e là, disseminati in ordine sparso, isolotti a fungo. Roccia vulcanica ora nerissima, ora rossa come da poco incendiata. In cima ciuffi di verde crescono spontanei. Incredibile quanto la natura sia anarchica e riesca a crescere anche lì dove l’immaginazione si fa rarefatta.
L’acqua è profondamente blu, i fondali limpidi. Ci saranno tra i 4 e i 12 metri di profondità. Lo scenario è davvero paradisiaco, ma è l’atmosfera ad essere magica.
Sarà forse la fatica che abbiamo fatto per raggiungerla?
Due uomini in canoa, di ritorno forse dalla pesca, ci affiancano e invitano a seguirli. Ci indicano il posto migliore per dare fondo all’ancora e ci salutano con una mano, senza chiedere nulla.
Ma dove siamo capitati? Siamo così curiosi di scendere a terra e scoprire questa terra di tesori da molti navigatori descritta come “perla del Pacifico”.
Il tramonto si avvicina e potrebbe non essere prudente avventurarci lungo il sentiero che porta al villaggio a causa delle zanzare che qui, ho letto in numerosi diari di viaggio, sono feroci.
Domani … andremo domani a conoscere il capo villaggio.
Dobbiamo fare il sevusevu, la cerimonia con cui il capo villaggio ci autorizza a rimanere qui per qualche giorno.
Intanto ci godiamo il Paradiso.
Fulaga è condivisione
L’indomani, domenica, ci rechiamo al villaggio con il mazzo di kava più bello, comperato appositamente per loro al mercato di Nadi. Qualcuno ci viene incontro, ci invitano a trascorrere la giornata con loro ma per il sevusevu ci chiedono di tornare lunedì.
Non fate il bagno fino a domani! Ci dice Tui – Potrete farlo dopo il sevusevu. Mi raccomando, è la nostra tradizione.
La sensazione di bellezza ci invade nel profondo, siamo nel Viaggio. Queste sono le Fiji che volevamo trovare. Finalmente le abbiamo trovate.
La nostra Host Family
Tra le tradizioni di Fulaga c’è la Host Family, ossia una famiglia adottiva. Ogni equipaggio viene affidato a una Host Family che si prenderà cura dei visitatori con affetto e attenzione. La nostra è composta da madre, due figlie di cui una ha l’età di Gabriele, e un nonno. Nessuno di loro parla inglese, ma i loro sorrisi accoglienti bastano per farci sentire grati. C’è Jay, un loro nipote, a farci da interprete.
Non avendo previsto il nostro arrivo, ci troviamo a consumare il loro pranzo. Noi siamo gli ospiti, loro mangeranno gli avanzi.
Disposti sul pavimento, sopra un lenzuolo a fantasia usato come tovaglia, ci portano diverse pietanze – Kassava (un tipo di patata dolce), riso bollito, pesce cotto nel latte di cocco, un piattino di insalata di polpo di rinforzo donato da un’altra famiglia, frittele di verdure. Non c’è acqua a tavola, non si beve durante il pasto.
La casa della nostra Host family non è diversa da quelle che si vedono nel villaggio. Strutture con lamiere dove dentro c’è una grande stanza aperta vuota con soli tappeti di paglia per terra e qualche fotografia attaccata alle pareti. La stanza comune è il luogo della condivisione. Le camere da letto, se così possono essere definite, sono separate da una tenda. Cucina e bagno invece sono fuori la casa, separati.
Con il sevusevu entriamo, ufficialmente, nella grande famiglia.
La vita a Fulaga
87 persone abituano attualmente nel villaggio di Moana-i-take, il villaggio principale. C’è una Primary School e c’è l’infermeria, cosa per nulla scontata.
Non fatevi male! – ci dice Bill guardando il piccolo Gabriele – soprattutto con i coralli. L’evacuazione potrebbe essere difficile da qui.
(quello stesso pomeriggio Gabriele cade giocando a fresbee nel campetto di fronte la scuola e si fa male sotto un occhio … questo per fortuna gli varrà solo un cerotto da pirata :)).
I ritmi a Fulaga sono lenti e si addicono a una vita fatta del necessario. Gli uomini si dedicano alla pesca, sono bravi intagliatori di legno, fanno le corde di treccia con le fibre del cocco. Le donne cucinano e lavorano le foglie di pandano per fare tappeti, ventagli, borsette. Anche le donne sono chiamate ogni tanto a pescare con gli uomini, quando a turno ospitano il prete che ha celebrato la messa.
Giovani ce ne sono, anche se cominciano a spostarsi nelle isole più grandi, cercano lavoro, cercano di guadagnare. Anche loro hanno il cellulare, persino Facebook. Le distanze si stanno accorciando in tutto il mondo e chissà se Fulaga riuscirà a resistere alla tentazione della modernità.