Quando leggo di un posto su una guida di viaggio la inserisco nel mio itinerario a prescindere ben sapendo che poi sarà il vento a decidere se ci arriveremo. L’isola di Kioa ne è un esempio. Avevo letto qualcosa di interessante, ossia che si trattava di un enclave polinesiana nelle Fiji melanesiane.
Già questa particolarità bastava per battere i piedi sul posto e implorare il vento di essere clemente. E infatti la raggiungiamo in un giorno senza vento. Il mare è una tavola e ancoriamo distanti dalla riva senza problemi. Come sempre pescatori con le piroghe doppie polinesiane (prima differenza!) ci accolgono. Ho letto che sono abilissimi pescatori. Dalla riva arriva della musica (molto Polinesia) e le case sono tutte colorate. Ma come è possibile che le differenze siano così marcate a così poche miglia di distanza!?
Un po’ di storia è necessaria.
Gli abitanti di Kioa vengono da Tuvalu, un piccolissimo arcipelago della Polinesia Francese che da anni rischia di scomparire a causa dell’innalzamento del livello del mare. Già alla fine della Seconda Guerra Mondiale la popolazione era andata alla ricerca di posti più sicuri dove trasferire le proprie dimore.
Tuvalu, come la maggior parte delle isole nel Pacifico, ospitò gli americani durante la Guerra. Molte persone erano al servizio degli americani e questo gli permise di guadagnare soldi. Fu così che nel 1947 gli abitanti di Tuvalu comprarono l’isola di Kioa per 15.000 dollari figiani.
Nasce così Kioa, una piccola enclave polinesiana alle Fiji. Si dice che quando vi si trasferirono, vigeva ancora la pratica del cannibalismo alle Fiji e con grande circospezione arrivarono a colonizzare la loro nuova isola-casa.
I tratti somatici sono diversi, la pelle è più chiara dei figiani e i capelli sono lunghi come da tradizione polinesiana. Anche le usanze sono diverse.
Talofa, diciamo quando scendiamo a terra. Anche la lingua è diversa. Si saluta alla maniera polinesiana e si ripete Talofa. La scritta la ritroviamo un po’ ovunque su magliette e case, per un po’ dobbiamo dimenticare Bula Bula!
Donne e bambini ci guardano curiosi, sorridono, sorridono sempre, ci fermano e chiedono di noi. Noi chiediamo di conoscere il Chief, il capo-villaggio.
Il Chief
Anche se non abbiamo l’obbligo di fare il sevusevu dobbiamo comunque presentarci al capo villaggio e chiedere il permesso di girare per l’isola. Ci incamminiamo su per la collina, in mezzo al verde e salendo scorgiamo la bellezza assoluta della baia in cui ci troviamo. Papayaga spunta fuori dagli arbusti, e come sempre accade quando all’improvviso la vediamo da lontano, la ringraziamo per portarci in luoghi meravigliosi.
La casa del Chief è diversa dalle altre capanne, più simile a una casa che a una capanna. Lui ci aspetta nudo, sdraiato su una stuoia e avvolto nel tipico pareo che copre solo le parti intime.
Si chiama FiaFia. Eletto dai cittadini (l’elezione avviene ogni 4 anni), gode di un ruolo sociale molto importante.
In questo villaggio vivono circa 400 anime, mentre in tutto il mondo sono appena 1100. Mi racconta della loro terra originaria, Tuvalu, che sta scomparendo ed esprime la sua preoccupazione per il futuro. Ha studiato la nostra cultura. L’Italia – ci dice – ha una grande storia. Evitiamo di intavolare un discorso sull’Italia per evitare di sminuirne i pregi ed esaltarne i difetti. Chiedo piuttosto di loro. Ci invita a un evento per la sera stessa. Ospiti d’onore. Sono in arrivo dei Missionari da Suva, la capitale.
Il villaggio si estende intorno ai grandi spazi comuni: uno è quello della scuola dove ogni giorno i bambini sono chiamati a fare alzabandiera e ammainabandiera con dei canti intonati da tutti; l’altro è quello antistante la chiesa dove di solito vengono organizzati i raduni e le riunioni.
Mako e la lavorazione delle foglie di Pandano
Durante la visita al villaggio conosciamo Mako, una simpatica signora con le guance pronunciate, che mi spiega il procedimento della lavorazione delle foglie di pandano.
Raccolgono, puliscono le foglie di pandano e gli tolgono tutte le parti morte, rovinate o infestate di insetti. Fanno rotoli come gomitoli e li mettono a bollire. Ogni giorno li mettono al sole a essiccare, ogni sera prima del tramonto li ripongono al sicuro nella sala comune. Potrebbe piovere la notte e sarebbe tutto lavoro sprecato. Ci vuole tempo perché le foglie siano ben asciutte, circa 3 settimane. Una volta asciutti, i rotoli vengono usati per fare Handicrafts, ossia borsette, tovagliette, ventagli … piccoli articoli di artigianato locale che vengono venduti ai turisti (quei pochi che vengono) oppure ai mercati di Suva o Savusavu.
La scuola
Una sosta alla scuola di Kioa è d’obbligo. Sono gli ultimi minuti prima dei canti di chiusura, mi viene incontro la maestra per parlare e raccontare. Si chiama Monica, insegna ai bambini di 1 e 2 grado. Sono 27 i bambini per classe e lei insegna tutte le materie. Ogni giorno fino alle 3. Alla fine delle lezioni, tutte le classi si riuniscono per cantare la canzone che accompagna il rito dell’alzabandiera. La musica, fondamentale, viene da un tamburo di legno fatto con un tronco d’albero scavato e battuto con un bastone.
I bambini indossano la divisa ed è importante che ci sia. Ci girano intorno, dicono cose che noi non possiamo capire ma si divertono. Dobbiamo essere buffi ai loro occhi. Guardano Gabriele e se lo studiano, lo toccano, forse solo per capire se possono giocare insieme.
I maiali
Alcune famiglie hanno maiali che allevano per poi venderli o mangiarli secondo la loro tradizione durante eventi speciali. I maiali non abitano nei loro giardini, come ad esempio abbiamo visto alle Tonga, hanno un’area dedicata fuori del villaggio. Vivono su palafitte fronte mare. Con la bassa marea è possibile portargli il cibo (di solito resti ma anche molti cocchi), l’alta marea invece porta via la sporcizia che si è formata sotto la palafitta. Una soluzione che trovo peraltro molto igienica.
La gentilezza
Una signora anziana con una lunga treccia bianca su una spalla, mi saluta da lontano e mi invita a avvicinarmi. Ci presentiamo e le racconto che viviamo in barca, ma forse potremo rimanere poco, il vento si sta alzando e l’ancoraggio non è protetto.
La sua casa è una capanna rialzata. Sotto la palafitta circolano libere le galline. Ce ne sono tantissime, le uova qui sono un importante fonte di sostentamento. Qualche ciotola grande in giro e una grande teiera per far bollire l’acqua sono le uniche grandi cose per la cucina. Non c’è nulla di ciò che reputiamo indispensabile nelle nostre case, eppure non ha importanza. Vivono lo stesso e con il sorriso.
Siamo io e lei. Prende un lungo bastone con il finale a v, e fa cadere dall’albero una grande papaya che mi regala. Mi commuove questa gentilezza, mi sembrano sempre momenti intimi.
Quando scendiamo a terra siamo sempre noi che torniamo in barca a mani piene. Siamo noi, che apparentemente veniamo dall’occidente che tutto ha, che qui siamo bisognosi. Le scorte finiscono, la cambusa si svuota e ogni papaya o banana che ci viene regalata è una benedizione del cielo.
La saluto e inizio il viale del ritorno. Gabriele mi corre incontro, dobbiamo fare presto. Partire subito. Una signora intreccia foglie di pandano e canta. Al suo fianco una bimba sui due anni che ci saluta da lontano. So che dobbiamo andare, eppure vorrei rimanere.
Venite! ci urla la signora appena ci vede. Mi avvicino – dobbiamo andare, le dico – e lei corre a prendermi delle banane che libera da sotto un cesto.
Dobbiamo muoverci quanto prima, il vento si è alzato e la barca non è più al sicuro. La vedo che si agita tra le onde. Anche Giovanni torna a chiamarmi, dobbiamo sbrigarci.
La barca è così. Non sei te a decidere quando ripartire. Salutiamo Kioa già con la nostalgia, con la promessa di tornare un giorno. Se riusciamo torneremo al prossimo giro quando arriveranno i nostri amici – mi sbilancio mentre saluto la vecchia signora – se no un giorno chissà.
Arriviamo a bordo appena in tempo. Manovrare con vento e onda non è affatto facile. Giovanni cerca di liberare la catena, io al timone lo assisto con marcia avanti e marcia indietro… finalmente liberi, partiamo con lo sguardo rivolto un’ultima volta a terra, questa volta solo per brevi secondi.
Così ci congediamo da Kioa, un altro piccolo angolo di paradiso nel nostro viaggio di conoscenza.